lunedì 16 marzo 2009

DI VITTORIO GIUSEPPE, ETICA E DIGNITA'....


Siamo a Cerignola, la vigilia di Natale del 1920, e a casa di Giuseppe Di Vittorio arriva un cesto-dono offerto dal conte Giuseppe Pavoncelli, proprietario terriero e signorotto del paese, nonché spesso controparte delle locali battaglie sociali del sindacalista pugliese.
Per questo, Di Vittorio lo chiamava “il Principale”.
La missiva motiva il rifiuto sofferto di quel dono, in un’epoca di povertà assoluta per la sua famiglia.
La lettera inedita, fu ritrovata durante un sopralluogo dagli sceneggiatori di “Pane e Libertà”, il film di Rai Uno sul leader sindacale, morto circa cinquant’anni fa. Ed è custodita a Cerignola (Foggia) da “Casa Di Vittorio”, il progetto-contenitore diretto da Giovanni Rinaldi.
La lettera parla da sé. Trasuda etica, dignità e reciproco rispetto tra “signori” d’altri tempi. Si direbbe lontana anni luce dalla realtà odierna.
E soprattutto rivela il raffinato senso politico-diplomatico di Giuseppe Di Vittorio, che con la richiesta finale della “stessa persona”, per il ritiro del dono, in un ideale scorrere al contrario dell’immagine, cerca di cancellare ogni traccia del fatto e di considerarlo come mai accaduto.
(S.B)
Egregio Sig. Preziuso,
in mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po' di ben di Dio che mi ha mandato.
Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si è certamente ispirato.
Ma io sono un uomo politico attivo, un militante.
E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché - in gran parte - è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente - come il nostro - ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti.
Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onestà ma per la mia situazione politica non basta l'intima coscienza della propria onestà.
E' necessaria - e Lei lo intende - anche l'onestà esteriore. Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi ripugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d'una cortesia - sia pure nobilissima come quella in parola - si ricamerebbe chi sa che cosa.
Sì che, io, a preventiva tutela della mia dignità politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi è di pieno gradimento.
Vorrei spiegarmi più lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non è, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato già chiaro.
Il resto s'intuisce. Perciò La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati.
Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora.
Dev.mo Giuseppe Di Vittorio

venerdì 6 marzo 2009

LA CGIL CONTINUA A COMPORTARSI PEGGIO DEI PADRONI:UN ALTRO LICENZIAMENTO A CATANIA


Dal sito www.articolo18.it di Luigi Castiglione licenziato dalla Cgil di Pescara riportiamo l'articolo pubblicato sul giornale 'U Cuntu' di Catania sul licenziamento di un dipendente (senza contratto) della Cgil di Catania

Se anche il sindacato si comporta da padrone.
Il sindacato, che di solito difende i lavoratori, a Cata­nia si trova in causa con uno di loro.
Per anni e anni, Giovanni Sapienza ha lavorato alla sede – aprire, chiudire, vigilare, sbrigare prati­che, organizzare – ma senza contratto.
C’è un buco nella legge. Ma approfit­tarne è giusto, per un sindacato? L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori consi­dera inefficace o nullo il licenziamento quan­do avviene senza giusta causa o giu­stificato motivo.
Eppure la Cgil, la più grande orga­nizzazione dei lavoratori, sem­bra averlo di­menticato. Ciro Crescentini e Luigi Casti­glione, dopo aver lavorato per più di 20 anni nel sindacato, sono stati un bel giorno licen­ziati, ma entrambi si sono ribellati ricorrendo alle vie legali.
Sebbene la Cassazione abbia ritenuto il licenzia­mento di Castiglione ille­gittimo e prete­stuoso, la Cgil si è appellata sostenendo che le organizzazioni sindacali non sono tenute ad applicare l’art.18. Ed è vero, dato che l’art. 4 della legge 108 del 1990 esime dal meccanismo di reintegro i “dato­ri di lavoro non imprenditori che svol­gono senza fini di lucro attività di natura po­litica, sindacale, culturale, di istruzione ovve­ro di religione o di culto”.
A Catania, un onesto lavoratore è al cen­tro di un’altra storia di diritti calpestati da un sin­dacato. Si chiama Giovanni Sapien­za e la sua vicenda è davvero complicata.
Nato a San Cristoforo nel cortile Ariete, Giovanni vive da 25 anni in una piccola abitazione popolare a Librino.
Nell’ ‘85 ha iniziato “a lavorare in nero alla Cgil di Ca­tania svolgendo varie mansioni e anche in­carichi di fiducia per il segretario. ù
"Mi oc­cupavo della manutenzione dell’edificio, ero responsabile dell’apertura e della chiu­sura dei locali e della loro vigilanza, sbri­gavo pratiche esterne e organizzavo persi­no cortei.
Speravo di essere prima o poi re­golarizzato, ma gli anni passavano e io re­stavo senza tutele e prospettive di cambia­mento.
A seguito delle mie continue pres­sioni per la regolarizzazione del rapporto lavorativo e dei 13 anni di oneri contributi­vi, nel 1998 la Confederazione trovò un éscamotage. Venni assunto dalla ditta di pulizie, Alizzi Grazia, poi divenuta Nova­lux, ma solo formalmente! Di fatto avevo le responsabilità di sempre e non mi occu­pavo certo di pulizie".
"Dopo altri cinque anni - continua Sa­pienza - nel settembre 2003 decisi di rifiu­tare lo sti­pendio in segno di protesta.
Il mio vero dato­re di lavoro era la Cgil e vo­levo che la mia situazione lavorativa - spiega Giovanni - di­ventasse chiara senza ditte fantoccio in mez­zo. Così chiesi alla Cgil di rispettare i miei diritti assumendo­mi e coprendo gli anni con­tributivi trascor­si. Da quel momento venni allontanato dai rapporti di fiducia, molti col­leghi non mi parlarono più e fui confinato al centralino, fino a quando nel dicembre 2003 la sostituzione della serratura della porta d’ingresso non mi consentì di entrare.
Capii che la situazione sarebbe precipitata di lì a poco.
E infatti prima delle festività natalizie ricevetti la lettera di licenziamento”. Fallito nel marzo 2004 il tentativo di conci­liazione per mancata comparizione della Cgil, Giovanni decide di rivolgersi alla magi­stratura per difendere i suoi diritti. Le udien­ze si susseguono lenta­mente, dilazionate ed estenuanti.
La Cgil so­stiene che Giovanni “prima del ‘98 era co­nosciuto solo come aspirante at­tivista sinda­cale che frequentava, saltuaria­mente ed occa­sionalmente, i locali della Camera del lavoro della Cgil”.
Tra un’udienza e l’altra almeno sei mesi d’intervallo. “Intanto io cado in depressio­ne e mi rivolgo all’I­stituto d’igiene mentale dove vengo segui­to per due anni dalla dotto­ressa Gulisano.
La mia vita familiare diventa un inferno, incerta e senza prospettive: chi mi assumerebbe, alla mia età? Resto senza lavoro, senza soldi e senza alcuna tutela previdenziale. Le mie figlie sono costrette a cercare lavoro a Firenze e mio figlio si trasferisce a Pistoia. I debiti au­mentano”.
“Ora aspetto l’udienza di aprile, ma io non mollo, continuerò a lottare per i miei dirittii. Voglio essere rias­sunto, voglio riprendere il mio posto di lavo­ro. Devo ritornare a vivere, risalire da questo inferno!”.
Da giornalista sento il bi­sogno di sentire l’altra campana. Mi reco alla Ca­mera del La­voro in Via Crociferi. Nessuno dei dirigenti sembra sapere nulla, qualcuno dice solo che Sapienza lavorava per una ditta di pulizie, nient’altro. Chi è delegato a segui­re il pro­cesso non vuole neppure ricevermi.
( Sonia Giardina redazione 'U CUNTU di Catania)


I CADUTI SUL LAVORO..