Siamo a Cerignola, la vigilia di Natale del 1920, e a casa di Giuseppe Di Vittorio arriva un cesto-dono offerto dal conte Giuseppe Pavoncelli, proprietario terriero e signorotto del paese, nonché spesso controparte delle locali battaglie sociali del sindacalista pugliese.
Per questo, Di Vittorio lo chiamava “il Principale”.
La missiva motiva il rifiuto sofferto di quel dono, in un’epoca di povertà assoluta per la sua famiglia.
La lettera inedita, fu ritrovata durante un sopralluogo dagli sceneggiatori di “Pane e Libertà”, il film di Rai Uno sul leader sindacale, morto circa cinquant’anni fa. Ed è custodita a Cerignola (Foggia) da “Casa Di Vittorio”, il progetto-contenitore diretto da Giovanni Rinaldi.
La lettera parla da sé. Trasuda etica, dignità e reciproco rispetto tra “signori” d’altri tempi. Si direbbe lontana anni luce dalla realtà odierna.
E soprattutto rivela il raffinato senso politico-diplomatico di Giuseppe Di Vittorio, che con la richiesta finale della “stessa persona”, per il ritiro del dono, in un ideale scorrere al contrario dell’immagine, cerca di cancellare ogni traccia del fatto e di considerarlo come mai accaduto.
(S.B)
Egregio Sig. Preziuso,
in mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po' di ben di Dio che mi ha mandato.
Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero del suo Principale ed il nobile sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si è certamente ispirato.
Ma io sono un uomo politico attivo, un militante.
E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché - in gran parte - è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente - come il nostro - ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti.
Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onestà ma per la mia situazione politica non basta l'intima coscienza della propria onestà.
E' necessaria - e Lei lo intende - anche l'onestà esteriore. Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi ripugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d'una cortesia - sia pure nobilissima come quella in parola - si ricamerebbe chi sa che cosa.
Sì che, io, a preventiva tutela della mia dignità politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi è di pieno gradimento.
Vorrei spiegarmi più lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non è, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato già chiaro.
Il resto s'intuisce. Perciò La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati.
Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mia Signora.
Dev.mo Giuseppe Di Vittorio