Protocollo Welfare, Fillea Cgil di Parma: "Va modificato"
31/07/2007 - Ricaviamo e pubblichiamo un comunicato della Fillea-Cgil di Parma in merito al protocollo sul Welfare. Ecco il testo integrale del comunicato:
"Il Direttivo della Fillea-Cgil di Parma ha espresso giudizi diversi e articolati sul Protocollo governo-parti sociali su previdenza, lavoro e competitività per l'equità e la crescita sostenibili, riservandosi ai primi di settembre un ulteriore approfondimento.Il Direttivo all'unanimità ritiene invece irrinunciabile mettere in atto tutte le iniziative indispensabili per modificare alcune parti dell'accordo: sulla decontribuzione degli straordinari, sul lavoro a tempo determinato, sullo staff leasing. E più in generale, ritiene necessario riprendere l'iniziativa contro la precarietà del lavoro. Anche in materia previdenziale considera importante introdurre modifiche per rendere maggiormente flessibile il sistema delle quote e incrementare gli stanziamenti per i lavori usuranti. Al Direttivo non è sfuggita la rottura politica che nell'ultima fase della trattativa si è determinata tra governo e Cgil, per cui ritiene non rinviabile l'adozione di una strategia sindacale maggiormente rivendicativa attraverso un maggiore coinvolgimento dei lavoratori a sostegno dei propri obiettivi. Occorre quindi aprire una fase di riflessione sul ruolo del sindacato nella prossima fase economica e politica. Il Direttivo giudica inoltre indispensabile, a partire dal mese di settembre, che i lavoratori si esprimano con voto referendario sul Protocollo. Il voto dovrà essere certificato e il suo esito vincolante".
31 luglio 2007 - Rsu Fiom Piaggio di Pontedera - Questo accordo su pensioni e mercato del lavoro è dannoso per i lavoratori e non deve passare . leggi il volantino(clicca)
27 luglio 2007 - Nota esplicativa dell'accordo Governo-Sindacati - A cura dell'ufficio sindacale della Fiom Nazionale - Il documento(clicca)
21 commenti:
CI HANNO RACCONTATO CHE NELL'ULTIMO DIRETTIVO DELLA FILLEA DI NAPOLI E' ANDATA IN ONDA UNA COMMEDIA TRAGICOMICA: IL GENERALE HA FATTO UNA RELAZIONE INSIGNIFICANTE E NOIOSA;LA RACCHIA HA TENTATO DI FARE LA SINISTROIDE;UN ALTRO SI E' PREOCCUPATO DEI DETRATTORI DICENDO TUTTO ED IL CONTRARIO DI TUTTO. CHE SQUALLORE. GRANDE LIVELLO CULTURALE.ALLA FINE I LAVORATORI NON HANNO CAPITO UN C..O!OVVIAMENTE NESSUN DOCUMENTO E COMUNICATO APPROVATO. IL GENERALE NON VUOLE FARSI NEMICO NESSUNO...CHE PARACULO!!
altri cortigiani saranno assunti come operatori alla fillea.E' stato dato u contentino al ricattatore di boscoreale...
eh già...pensano di avere più risorse perchè si vogliono liberare dei due compagni emarginati nella stanza con i vetri!!!?
alla fillea nazionale sono arrivate informazioni su quello che che accade nel cantiere ospedale di Ponticelli...
confermo. Il segretario Generale sta scaricando tutto sul giovane portavoce figlio del fornitore!!
Racconta. Dai!!
nel cantiere ospedale di ponticelli lavorano personaggi segnalati da alcuni politici(alcuni sono amici di nappitiello).Sono personaggi legati ad "ambienti locali"..Sette o dieci di loro hanno bloccato il cantiere per quattro giorni e preteso un contratto a tempo indeterminato. Hanno avuto la promessa che diventeranno operatori socio sanitari quando saranno ultimati i lavori. A Nappitiello ed al gioovane portavoce li hanno prelevati sotto casa e costretti a venire ad appoggiarli.
Lo sapete chi è che si è collegato sul blog ogni dieci minuti oggi 2 agosto?. Provate ad indovinare...
Ha usato internet senza fili..
Guardate ler sue tracce...
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amico osservatore,
questo è tutto?
No. l'azienda madre che si è aggiudicata i lavori dell'ospedale ha denunciato questi "operai" per le violenze commesse nei giorni scorsi ed il giovane portavoce ed ha riferito tutto al nazionale della fillea.
Nappitiello e Sannino stanno dietro le quinte e mandano avanti il giovane portavoce e scaricano tutto su di lui. Così si stanno giustificando con il nazionale.
Sannino sta martorizzando il giovane portavoce perchè deve relazionare a roma su quello che è accaduto. Ovviamente al nazionale della fillea mica dirà la verità. mica dirà che questi "operai" sono dei delinquenti ed alcuni di loro hanno portato le deleghe e le tessere a nappitiello . mica dirà che nappitiello gli ha fatto le promesse..di diventare infermieri.ma il nazionale sembra che sappia tutto.
mamma mia che schifo!quindi il cantiere dell'ospedale è paragonabile a quel cantiere di Reggio Calabria dove sono accadute quelle brutte cose la settimana scorsa?
Peggio. Come vedi sono sempre protagonisti Sannino-Nappitiello che sono appoggiati da quel personaggio che tu hai definito il "ricattatore di Boscoreale" che sta nella segreteria. Tu lo sai perchè ricatta, no? La sai, la storiella dei suoi distacchi retribuiti, dei doppi stipendi e delle doppie buste paga?Di quello che combina sulla "sua zona" con i "suoi delegati" parassiti?
scrivimi una mail..
ok. ti manderò anche un allegato interessante. Ritornando a Sannino ed al giovane portavoce. Adesso Sannino(alisa ciccio formaggio) darà la sua versione al nazionale.Da vigliacco quale lui è scaricherà tutto sul portavoce..
che monnezza. Povera Cgil. Che hanno combinato i cortigiani del...RE DELLA MONNEZZA(O GOVERNATORE).
L’avviso di garanzia risale a quando il Governatore era commissario straordinario ai rifiuti
Monnezza-connection, Bassolino sarà processato
di Sergio Menicucci
L’’emergenza rifiuti ha favorito in Campania soprattutto la camorra. Parole semplici, dirette di un ex servitore dello Stato ai massimi livelli. Nel 1996 era nelle stanze dei bottoni del Viminale, sede del Ministero degli Interni. Il Prefetto Bruno Ferrante ora è impegnato a ridare un’immagine credibile alla Fibe e Fibe Campania, due società del gruppo Impregilo interdette ad operare fino a metà 2008 dopo che la società appaltatrice per lo smaltimento rifiuti è finita sotto inchiesta. Ma su chi tra pubblico e privato abbia tratto maggiori vantaggi dal business dei rifiuti lui non ha dubbi: la criminalità organizzata ha sfruttato un filone di arricchimenti facili. Euro riciclati e controllo del territorio hanno rafforzato il potere delle famiglie malavitose. Non solo droga, scippi e contrabbando. A Napoli la monnezza ha creato una montagna di ricchezza illecita.
Le parole dell’ex Prefetto Ferrante acquistano maggior valenza perché pronunziate nel giorno in cui la Procura di Napoli ha chiesto 28 rinvii a giudizio al termine di una lunga e complessa inchiesta. In testa alla lista un pezzo da novanta della politica e due tra i più prestigiosi nomi dell’imprenditoria italiana. Mancava solo l’ufficializzazione ma il nome di Antonio Bassolino circolava da tempo all’interno del palazzo di giustizia tra i personaggi che sarebbero andati sotto processo. L’avviso di garanzia lo aveva ricevuto l’8 settembre del 2006. Il governatore era stato commissario straordinario ai rifiuti per quattro anni dal 2000 al 2004, prima che scoppiasse la bagarre con roghi e incendi di cassonetti per le vie di Napoli di quest’anno e prima che venisse nominato, a furore di popolo, commissario il dirigente della Protezione civile Guido Bertolaso. Lo stesso si diceva per i fratelli Paolo e Piergiorgio Romiti, figli di Cesare che da casa Agnelli in poi ha dominato una grande fetta della storia dell’imprenditoria italiana e che dalla “marcia dei 40 mila” contro gli scioperi a ripetizione che stavano mettendo in crisi la Fiat è andato, passo dietro passo, avvicinandosi al mondo politico della sinistra.
Per tutti i 28 indagati l’accusa ora è di truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture. Un atto di accusa molto pesante quello dei Pm Sirleo e Noviello contro la gestione commissariale di Bassolino. Nella richiesta a giudizio sono finiti anche l’ex vice commissario Raffaele Vanoli, l’ex subcommissario Giulio Facchi, Giuseppe Sorace, Claudio De Biasio, Armando Cattaneo e Roberto Ferraris. Adesso inizia un lungo iter giudiziario: entro la prossima settimana il giudice per le indagini preliminari avviserà le parti e fisserà per la metà di ottobre la prima udienza preliminare. I pubblici ministeri illustreranno i risultati di 10 mesi di indagini sul ciclo dei rifiuti e si prepareranno ad affrontare la controffensiva dei numerosi Difensori. Migliaia di pagine e centinaia di faldoni sono stati trasferiti al quindicesimo piano della Torre B del Palazzo di giustizia nella segreteria del Presidente dei Gip Renata Vuosi.
Il processo entrerà nel vivo in dicembre proprio quando il Governatore Bassolino si appresta a tornare responsabile della gestione politica dello smaltimento dei rifiuti. Così infatti ha voluto il governo Prodi, d’intesa con gli enti locali campani; accordo che riportava in mano politica la questione rifiuti. Una soluzione che in pratica ha costretto Guido Bertolaso a lasciare la scomoda poltrona di commissario a causa dei troppi condizionamenti politici, sostituito per pochi mesi dal Prefetto di Napoli Pansa.
Lo scandalo rifiuti entra in una nuova fase. Chi ha sbagliato deve pagare, dicono i napoletani. A livello penale oppure politicamente. Si è giunti ad un punto in cui c’è necessità di fare chiarezza. Può il Governatore, rinviato a giudizio, continuare a gestire la politica dei rifiuti? E più in generale può politicamente far finta che non sia accaduto nulla?
Per il centrodestra è impensabile. Bassolino dovrebbe cedere la mano e lasciare il Palazzo di Santa Lucia per “meglio difendersi” dalle accuse che pongono un punto fermo su uno stato di crisi che dura da 14 anni. Le dimissioni di Bassolino le chiede anche il deputato “no global” Francesco Caruso di fronte al tentativo dell’esponente diesse di minimizzare parlando di “sproporzione tra addebiti contestati e mancanza non solo di prove ma anche di qualunque indizio serio”. Non la pensa così neppure il Senatore di Rifondazione Tommaso Sodano che nel febbraio del 2002 presentò per primo un esposto in Procura contro la Fibe Impregilo) perché non rispettava il contratto e gli impianti non funzionavano, ma anche contro il Commissario (era Bassolino) che non faceva nulla per far valere gli interessi della regione.
Ora il Governatore che domina la politica amministrativa della Campania da una quindicina di anni si trova ad un bivio. Per Bassolino, accusato di reati gravi per un pubblico amministratore, secondo molti ambienti si dovrebbe aprire una fase di seria riflessione, individuando un percorso che lo porti fuori dalla gestione di atti per i quali deve sostenere un processo. Truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture sono reati che si basano sulla mancata opera di contrasto dell’apertura, in tutta la Campania, di siti di stoccaggio in violazione della legge, mentre lo smaltimento avveniva tra disfunzioni e irregolarità più volte segnalati e denunziati dagli esponenti del centrodestra in Regione e in Comune, ma anche da tecnici e cittadini. Una volta, per giustificarsi, Bassolino affermò che firmava i documenti e i provvedimenti senza neppure leggerli.
Ma ora le vicende giudiziarie marciano contemporaneamente a quelle politiche perché si avvicina la scadenza di dicembre quando il Prefetto Pansa rimetterà il mandato temporaneo previsto dal decreto sui rifiuti in Campania votato qualche settimana fa dal Parlamento. Sul piano politico, poi, Bassolino si appresta a voler svolgere un ruolo di prima linea nella costituzione del Partito Democratico. La spallata della Procura sull’immondizia non solo ha incrinato l’immagine del Governatore, ma ha messo in evidenza il fallimento e le responsabilità amministrative precise di un gruppo dirigente che ha dominato la scena da oltre un decennio. Incalzato dall’opinione pubblica, Bassolino di recente ha ammesso che qualche responsabilità politica c’è stata, ma nulla di penalmente illecito.
Ora la Procura dice il contrario. La presenza di 5 milioni di ecoballe accatastate nei luoghi più disparati in attesa di smaltimento, le proteste per le discariche non bonificate o esaurite, i tempi lunghi per la costruzione del termovalorizzatore di Acerra, le manifestazioni contro i siti delle quattro nuove discariche, la bassissima percentuale della raccolta differenziata (circa il 12 per cento contro un obiettivo fissato per legge del 30-35 per cento) sono tutti elementi che sanciscono il fallimento della politica di centrosinistra in Campania e a Napoli. Anche la vicenda del gruppo Impregilo e del colossale sequestro preventivo di 753 milioni di euro deciso dai giudici napoletani a conferma dell’assunto accusatorio di truffa e frode ( la richiesta del dissequestro è stata rigettata dal giudice del Riesame) evidenzia che sui rifiuti potrebbero cade molte teste politiche e imprenditoriali.
BASSOLINO, FINE DELLA CORSA?
Il tempo del rinascimento bassoliniano è lontano anni luce, la leggenda del buongoverno delle giunte rosse trasferita alle amministrazioni meridionali è una chimera che si dissolve nella foschia dell’afa estiva e la grande macchina comunicativa messa in piedi dall’entourage del Governatore della Campania è ormai del tutto inadeguata a coprire l’evidenza di un fallimento politico e gestionale. Ma il rinvio a giudizio di Antonio Bassolino, richiesto dalla procura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sui rifiuti, arriva in un momento estremamente delicato, rischiando di compromettere il futuro politico dell’uomo che nel 1993 fu acclamato come il nuovo salvatore della patria, e che oggi, in prossimità della conclusione del suo lungo ciclo di amministratore locale, è chiamato a far pesare la propria leadership, significativamente depotenziata, nel costituendo Partito Democratico. Sono ventotto le richieste di rinvio a giudizio per presunte irregolarità nella gestione dello smaltimento dei rifiuti in Campania, depositate dai pm napoletani Giuseppe Novello e Paolo Sirleo, che indagano da tempo su uno degli scandali più clamorosi degli ultimi anni. Oltre Bassolino, coinvolti tra gli altri gli ex vertici campani della Impregilo, il vicecommissario per l'emergenza rifiuti Raffaele Vanoli e il subcommissario Giulio Facchi, alternatisi nel corso degli anni. Gravissime le ipotesi di reato: truffa aggravata e continuata, frode nelle forniture, abuso d’ufficio. Per la procura guidata da Giovandomenico Lepore, l’emergenza rifiuti che in questi anni ha devastato il volto di Napoli e di gran parte del territorio regionale, è il frutto di un «disegno criminoso» ordito da commissari controllori e dai vertici delle aziende vincitrici dell’appalto del ciclo rifiuti. L’accusa al presidente Bassolino trova, per Lepore, conferma nella sua condotta che «ha contribuito a creare l’emergenza attuale. Bisognava intervenire prima, con tempestività, anche perché finora i rifiuti non sono certo scomparsi dalle strade». Se dalla procura provengono valutazioni che riguardano il profilo giudiziario e l’accertamento delle responsabilità penali dei singoli indagati, non si possono ignorare le responsabilità politiche derivanti da un’amministrazione incapace di far fronte ad una emergenza che si trascina da oltre un decennio. E se Bassolino viene ritenuto responsabile di «artifici e raggiri tesi a mascherare agli occhi della Presidenza del consiglio dei Ministri e degli enti locali una crisi di rilievo nazionale», oltre che «commissario inerte di fronte a una emergenza evidente», le sue responsabilità per l’incalcolabile danno ambientale prodotto sono enormi. Nella richiesta di rinvio a giudizio, infatti, i pm affermano: «la forza della condotta del commissario in questi anni sta nell’apparenza e nel silenzio. Mediante il silenzio, è stata coperta la inidoneità tecnica degli impianti e la disorganizzazione gestionale di un corretto e regolare adempimento, inducendo in errore la presidenza del Consiglio dei ministri. Gli effetti sono quelli che conosciamo: rallentamenti, interruzioni del servizio di ricezione dei rifiuti solidi urbani, accumulo dei rifiuti in strada. È così che sono nati siti di trasferenza e stoccaggio approntati dai sindaci, autorizzati dal commissario di governo per l’emergenza rifiuti con conseguenti spese per il loro allestimento e la loro gestione e trasporto, verso siti di smaltimento ubicati all’estero». Pur non volendo ricercare un coinvolgimento ancor più grave e criminoso (compito spettante in ogni caso alla magistratura), le accuse mosse a Bassolino sono sconcertanti: non avrebbe svolto i delicati compiti assegnati dalla sua funzione, avrebbe consentito l’apertura di siti di stoccaggio in tutta la Campania in piena violazione della legge, ignorando o lasciando cadere nel vuoto le segnalazioni provenienti dagli organismi tecnici che attestavano le inadempienze delle società incaricate di realizzare le opere di smaltimento e di trattamento dei rifiuti. La sua stessa linea difensiva non fa altro che confermarne il fallimento innanzitutto politico. Di fronte alle accuse, Bassolino ha affermato, tra l’altro, anche di aver firmato i provvedimenti contestati senza la reale consapevolezza di cosa stesse facendo (è divenuto un cult un diverbio avuto con un giornalista di Report), essendosi fidato dei pareri giuridici richiesti per l’occasione ad alcuni dei tanti consulenti nominati. Una difesa quasi farsesca, chiaramente insufficiente per convincere gli inquirenti. E se anche fosse riscontrabile la buona fede, un amministratore incapace di gestire emergenze e criticità, che si affida a consulenti inadeguati, è tenuto a prendere atto dei danni arrecati alla comunità, traendo le dovute conseguenze. La richiesta di dimissioni non sono il frutto di un’isterica e pretestuosa contrapposizione politica, ma un atto dovuto, che offrirebbe una chiave di lettura completamente diversa a questi tre lustri di gestione arrogante del potere. Un atto che porrebbe fine alle promesse non mantenute, ad anni di retorica e proclami ai quali non seguiti fatti concreti, che rendessero tangibile, nella vita di tutti i giorni, il buon governo dell’amministrazione locale. L’emergenza rifiuti di questi anni verrà ricordata come un fatto epocale, simbolo evidente dell’incapacità amministrativa e gestionale dei governanti del nostro tempo. Dopo le mani sulla città, l’epoca delle costruzioni dissennate e prive di un piano regolatore di sviluppo, aggiungeremo un altro capitolo alla nostra storia con i cumuli di rifiuti che per almeno quindici anni hanno decorato la splendida cartolina del golfo napoletano. Perché tutto questo diventi parte del nostro passato, tuttavia, non possiamo più rimetterci ai percorsi lunghi e tortuosi della giustizia. Se Bassolino afferma che “da Impregilo non ha preso nemmeno un caffè”, fino a prova contraria, è nostro dovere credergli. Ma dovrebbe avere l’intelligenza e la sensibilità politica di chi, consapevole di essere stato protagonista di una lunga serie di leggerezze, decide finalmente di farsi da parte, ponendo fine ad un lungo e contraddittorio regno, il cui prolungamento rischierebbe solo di acuire i conflitti d’interesse legati ad una figura divenuta troppo scomoda; un ulteriore e inaccettabile rallentamento al disperato tentativo di contrastare il degrado e l’incuria che ha esposto la nostra regione a continue umiliazioni agli occhi del mondo.
Alla faccia dell’”emergenza”. Dietro la “questione rifiuti” in Campania c’è una storia cominciata più di dieci anni fa. E ci sono nomi e cognomi: imprenditori e politici corrotti che con il mancato smaltimento hanno arricchito se stessi e i clan
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Cinque milioni di ecoballe fuori legge, un miliardo e mezzo di euro spesi in 11 anni dal commissariato di governo e altri 80 milioni stanziati a giugno dal governo: sono le cifre che segnano l’ennesima débâcle dello Stato in terra di Camorra. Quella che è stata chiamata “emergenza rifiuti” si sta rivelando sempre più una grande truffa di cui hanno beneficiato amministratori corrotti, malavitosi, imprenditori più o meno vicini agli uni e agli altri: lo sostengono i magistrati in una serie di inchieste intrecciate che, tassello dopo tassello, ne stanno ricostruendo la storia.
L’inizio della crisi. Tutto comincia nel 1994 quando, dichiarato lo “stato di emergenza”, il governo nomina il primo commissario che ha il compito di tamponare la crisi. È solo nel 1996 che i poteri si ampliano e passano al presidente della Regione che in quel momento in Campania è Antonio Rastrelli. Ed è la sua amministrazione che organizza il bando di gara per appaltare la gestione di un ciclo integrato dei rifiuti. Le procedure vanno avanti con il suo successore, Andrea Losco (Udeur) e vengono concluse da Antonio Bassolino (Ds) che affida il tutto a un consorzio di ditte formato da cinque imprese associate alla Impregilo (Impregilo International, Fibe, Fibe Campania, Fisia Impianti, Gestione Napoli). Le stesse che a giugno 2007 ricevono dal gip Rosanna Saraceno l’interdizione a stipulare contratti con la pubblica amministrazione per un anno in materia di smaltimento della spazzatura e il sequestro preventivo di 753 milioni di euro.
I pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo cominciano a indagare nel 2002 dopo una denuncia del senatore di Rifondazione comunista Tommaso Sodano. Cinque anni dopo arriva il primo provvedimento del gip con conclusioni durissime per le imprese, ma non solo. Per il magistrato le aziende «con artifici e raggiri» hanno eluso i contratti, falsificato i risultati delle analisi, bloccato gli impianti per far crescere l’emergenza. Il tutto «con la complicità, se non la connivenza, di chi aveva l’obbligo di intervenire». Non a caso le indagini, dalle quali si aspettano nuovi sviluppi, hanno coinvolto il governatore Bassolino e molti dirigenti della struttura commissariale.
Con l’alibi dell’emergenza. Nel 2000, infatti, il presidente della Regione firma con il consorzio un contratto, che non sarà mai rispettato dalle ditte né disdetto dal commissariato che, invece, sostiene la tesi dell’emergenza infinita inventata dall’impresa per giustificare le proprie inadempienze. Impregilo e soci avrebbero dovuto costruire sette impianti di produzione di Cdr, ovvero di combustibile derivato dai rifiuti (e lo hanno fatto), edificare due impianti per la termovalorizzazione del combustibile (ne hanno realizzato uno solo, quello contestatissimo di Acerra), gestire tutti i rifiuti prodotti in Campania. La spazzatura doveva diventare materiale da bruciare (32%), compost destinato al recupero ambientale (33%), scarti ferrosi (3%) e solo il 14% doveva finire in discarica. Sette anni dopo non solo la Campania brulica di buche piene d’immondizia, ma l’emergenza è diventata un enigma che non trova soluzione.
Anche perché quella che esce dagli impianti di Cdr è spazzatura triturata. Tanto che il prefetto Pansa (che ha preso il posto del precedente commissario, il capo della protezione civile Guido Bertolaso) ha deciso di far trasportare parte dei rifiuti direttamente in discarica.
Tutti le trasportano, nessuno le brucia. Le ecoballe, lo dimostrano le indagini, di eco non hanno proprio nulla. Si tratta, invece, di immondizia chiusa in buste di plastica che non sarà mai possibile bruciare nel rispetto delle norme attuali. Il materiale prodotto dai Cdr doveva avere per contratto al massimo il 15% di umidità. Il decreto Ronchi prevede una percentuale del 25%. La spazzatura che esce dagli inceneritori supera il 30. E la quantità di rifiuti che esce dai sette inceneritori è maggiore di quella in entrata a causa degli additivi. Un disastro.
In compenso solo per ospitare le cosiddette ecoballe bisogna occupare 40mila metri quadrati ogni mese. E così il commissariato ha dilapidato milioni di euro per inviare le balle al nord o addirittura all’estero, ma nessuno le ha volute perché bruciarle è impossibile. Eppure il contratto prevedeva, come ricorda il gip Saraceno «l’obbligo di assicurare, nelle more della realizzazione degli impianti di termovalorizzazione, il recupero energetico mediante conferimento del Cdr in impianti esistenti». Insomma, in attesa di costruire l’impianto di Acerra il cartello Impregilo avrebbero dovuto smaltire le ecoballe a proprie spese, ma nessuno ha preteso il rispetto di questa clausola e la spazzatura impacchettata è diventata lo scoglio che fa naufragare ogni speranza di superare la crisi. Non basta. Il subappalto del trasporto di materiali prodotti dagli impianti era vietato, ma solo sulla carta. Le numerose emergenze hanno fatto proliferare le deroghe e il servizio è stato appaltato a una partecipata dei Comuni dell’area Nord (Impregeco), che non avendo, però, i mezzi necessari lo ha a sua volta subappaltato a una miriade di padroncini. E così davanti agli inceneritori restano per ore, ma a volte anche per giorni, camionisti pagati in nero.
Impianti fermi? È tutto programmato. A costituire l’inferno in cui si dibattono i napoletani hanno, sempre secondo i magistrati, collaborato i responsabili del commissariato. Sono stati loro a non vedere (o a non voler vedere) che le apparecchiature montate nei Cdr erano diverse da quelle progettate, che ai rifiuti veniva aggiunta plastica per renderli più secchi, che le analisi sui prodotti venivano falsificate. Tutto in nome dell’emergenza. Tanto che il sub-commissario Raffaele Vanoli nel 2002 in previsione dell’estate dispone un prolungamento dell’orario di apertura degli impianti e decide che le verifiche sul Cdr prodotto siano spostate al momento di incenerire le balle. Si domandano i giudici: come faceva Vanoli a sapere che i cumuli di rifiuti per le strade sarebbero cresciuti? Una risposta viene dalle intercettazioni sulle linee dei dipendenti della Fibe. Scrive Rosanna Saraceno nella sua ordinanza: «Dalle intercettazioni emerge che il fermo degli impianti e il blocco nella ricezione dei rifiuti era programmato e attuato quale strumento di pressione verso la struttura commissariale». Tra gennaio e giugno del 2007 l’inceneritore di Caivano si è bloccato 30 volte, venti perché non c’era possibilità di sversare i rifiuti, dieci per incidenti vari.
Intanto c’è chi, con i rifiuti, si ingrassa. L’emergenza, poi, giustifica fitti e subappalti senza gare: e i costi lievitano. Così finisce che la Campania sommersa dalla spazzatura paghi la tassa sui rifiuti più cara d’Italia. Né c’è da meravigliarsi visto che, tanto per fare un esempio, nei diciotto consorzi di bacino della regione sono stati assunti 2300 ex Lsu (lavoratori socialmente utili, ndr.) che dovevano lavorare alla differenziata mai decollata e che quindi hanno fatto poco e niente, ma sono stati sempre pagati costando circa 55 milioni di euro all’anno. E molti sono stati assunti perché iscritti in liste di disoccupazione compilate grazie a un accordo trasversale tra le forze politiche, come sostengono i giudici che hanno indagato su molti leader dei senza lavoro. Ben 367 di questi lavoratori fantasma dipendono dal bacino 5 che però non è mai stato costituito. E l’Asia, la società mista che raccoglie l’immondizia a Napoli, lavora senza aver mai firmato un contratto di servizi e subappalta la raccolta del centro città ad altre due società. Non va meglio in provincia dove molti Comuni sono stati sciolti (tra questi Crispano, Casoria, Tufino, Pozzuoli, Melito) per aver affidato il servizio di nettezza urbana a società ritenute dal Gia (Gruppo interforze antimafia) vicine alla Camorra. Il commissario di governo a Casoria ha dovuto azzerare i vertici della partecipata del Comune dopo l’informativa della prefettura che parla di possibili ingerenze della criminalità organizzata. Anche la Pomigliano Ambiente nel giugno 2006 è stata interdetta dal prefetto perché sospettata di servirsi di una società di servizi accusata di collusioni con associazioni camorristiche, ma a novembre il Tar ha accolto il ricorso della società, il provvedimento di interdizione è stato revocato e l’azienda ha ripreso l’attività come molte altre imprese finite nel mirino della prefettura e “riabilitate” dalla giustizia amministrativa. Ad aprile, però, la Dda ha aperto una nuova inchiesta. Il pubblico ministero Maria Antonietta Troncone indaga su una serie di lavori appaltati con il criterio della somma urgenza.
Favori a parenti e “amici”. Del resto, secondo la commissione parlamentare d’indagine sul ciclo dei rifiuti guidata dal senatore Roberto Barbieri (Gruppo misto), la stessa struttura commissariale non è stata impermeabile alla Camorra: «Gli elementi informativi assunti durante le audizioni, soprattutto quelle dei magistrati della procura della Repubblica di Napoli, nonché la documentazione acquisita con riferimento alle indagini che hanno interessato la struttura commissariale – è scritto nella relazione sulla Campania – hanno rappresentato un quadro nel quale la criminalità organizzata, soprattutto nella sua articolata dimensione imprenditoriale, ha assunto un ruolo che desta preoccupazione». Una preoccupazione più che fondata se si considera che a maggio è stato arrestato il sub-commissario Claudio De Biasio: insieme a Giuseppe Valente, presidente del Ce4 (in quota Forza Italia), fino al commissariamento del consorzio, avrebbe favorito imprese legate alla malavita. I due, secondo i pm della Dda di Napoli, Raffaele Cantone e Alessandro Milita, avrebbero favorito le ditte dei fratelli Sergio e Michele Orsi a loro volta finiti in manette e indicati da numerosi pentiti come vicini al clan dei Casalesi. Con queste imprese il consorzio di bacino ha costituito una società mista, la Eco 4, incaricata della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Alla Eco 4 non è stata concessa la certificazione antimafia perché l’amministratore delegato, Sergio Orsi, è ritenuto vicino ai clan. I giudici hanno ricostruito la vicenda passo passo a cominciare dal bando di gara che privilegiava le società formate da giovani e da donne. Una clausola che ha permesso agli Orsi di spiazzare l’altra impresa che aspirava all’appalto. Poco prima del bando, infatti, è stata formata una società, la Flora ambiente, amministrata dall’allora ventunenne Elisa Flora, figlia di Sergio Orsi. L’impresa, che non aveva alcuna attrezzatura, creò un’associazione temporanea con aziende che avevano, invece, i mezzi per operare e riuscì a vincere la gara e ad aggiudicarsi il servizio guadagnando (illecitamente secondo i giudici) più di dieci milioni di euro, nove solo vendendo al commissario un pacchetto azionario a un prezzo enormemente superiore al valore reale. Nell’inchiesta entra anche il camorrista Augusto La Torre. È lui a raccontare ai giudici di aver imposto ai fratelli Orsi una tangente di 15 mila euro al mese e di aver concordato la cifra grazie al comune amico Francesco Bidognetti, capo dell’omonimo clan.
Un impero all’ombra dei clan. Ma i fratelli non sono amici solo dei malavitosi. Nella loro agenda figura anche Angelo Brancaccio, dei quali erano anche compagni di sezione. I due, infatti, erano iscritti alla sezione dei Ds di Orta di Atella, paese di cui Brancaccio era stato a lungo sindaco prima di diventare consigliere regionale e segretario della presidenza del governatore Bassolino ed essere infine accusato di estorsione, peculato e corruzione.
E non finisce qui: 37 milioni di euro sono passati dal commissariato di governo direttamente nelle tasche di Cipriano Chianese, avvocato, imprenditore candidato per Forza Italia alle elezioni nel 1994 e non eletto, proprietario della Resit, la società che ha venduto al commissariato di governo le cave X e Z, discariche abusive nei dintorni di Giugliano, durante l’emergenza del 2003 (cfr. «Narcomafie» n.2/06). Tre anni dopo, nel gennaio del 2006, Chianese finisce in galera. Pesantissima l’accusa: estorsione aggravata e continuata, concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i magistrati il suo impero economico sarebbe cresciuto all’ombra del clan dei Casalesi. I pm antimafia Raffaele Marino, Alessandro Milita e Giuseppe Narducci chiesero anche l’arresto dell’ex sub commissario per l’emergenza rifiuti, Giulio Facchi, ma il gip non lo concesse per mancanza di esigenze cautelari (al momento della decisione non era più sub-commissario). La cosa sconcertante è che il commissario aveva stabilito rapporti con Chianese ben sapendo che era già stato al centro di numerose inchieste giudiziarie.
In questa situazione non c’è da meravigliarsi se in Campania ci sono, secondo Legambiente, 225 discariche abusive e la criminalità organizzata continua a incrementare i propri profitti gestendo un giro di affari che tocca i 23 miliardi di euro all’anno. E i cumuli di sacchetti per le strade della Regione
Il 2006 si e' chiuso con un avanzo finanziario di 2,7 miliardi grazie a "maggiori trasferimenti" dallo Stato per prestazioni assistenziali e da "un buon andamento delle entrate contributive".
Guardando i conti, sembrerebbe che si tratti di un vero e proprio 'boom': nel 2005, fu registrato un disavanzo di 431 milioni.
Rispetto all'anno precedente, si tratta per il 2006 di un incremento di 3,1 miliardi. Sono questi i dati del bilancio consuntivo approvati dal Cda.
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Che cosa hanno da dire al riguardo i firmatari nonché i sostenitori della necessità di intervenire sui conti dell'Inps innalzando l'età pensionabile e i rendimenti pensionistici?
I dirigenti sindacali che hanno sostenuto la bontà di un accordo inutilmente penalizzante nei confronti dei lavoratori al posto di scrivere lettere a Prodi non farebbero meglio a scrivere una semplice lettera di dimissioni?
avete letto il settimanale "l'espresso"? Tutto sulla casta del sindacato!ho contattato il giornalista per fare un seervizio su parentopoli.
sì, sì raccontiamo tutto all'Espresso(l'ho comprato una bella inchiesta)tutto sulle assunzioni negli enti bilaterali. raccontiamoli delle assunzioni del figlio di petruzziello, del genero di Sannino.di quello che accade nei cantieri..dei sindacalisti emarginati nelle stanze con i vetri(a proposito lo sapete che nappitiello ha deciso di cambiare la serratura alla porta con i vetri e di far trovare i due sindacalisti senza scrivania?). Già ha battezzato un nuovo operatore amico del ricattatore di boscoreale, a settembre lo faranno girare per i cantieri.
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