martedì 30 settembre 2008

NELLA CGIL SI SFRUTTANO I LAVORATORI..

Nella Cgil si demansionano i dipendenti e si licenzia senza motivo... Leggete questa lettera.
Caro segretario generale della Cgil , Guglielmo Epifani,
dopo averci a lungo pensato mi sono decisa a scriverti per segnalarti un fatto che a me appare gravissimo dal punto di vista etico e morale avvenuto nell'interno della Cdlm di Venezia.
Sono una ragazza laureata in Economia Aziendale con il volto di 100/110.
Una laurea conseguita quasi in tempi corretti e studiando la sera perché ho sempre avuto la necessità, per mantenermi, di lavorare.
Dopo 10 anni di esperienza come impiegata amministrativa il 1 dicembre del 2004 sono stata assunta sempre come impiegata amministrativa, con contratto a termine di sei mesi, nella Filce Cgil di Venezia per sostituire un pensionamento.
Un contratto a termine con la possibilità di rinnovo o di transazione in futuro in un tempo indeterminato, giustifacato con la scusa che la Gdlm di Venezia aveva intenzione nella sede ristrutturata di via Ca' Marcello 10 a Mestre, dove ci siamo trasferiti il primo giugno 2005, di istituire la segreteria amministrativa di piano non peremettendo in quel momento nuove assunzioni a tempo indeterminato (aspetto però che non mi è stato confermato dai dirigenti della Cdlm di Venenezia che, secondo quanto da loro affermato, volevano fare la segreteria di piano ma non ostacolavano per questo nuove assunzioni che sarebbero state successivamente assorbite all'interno della struttura provinciale).
Io ho accettato comunque il lavoro perché ero alla ricerca di occupazione nella provincia di Venezia (abitavo nella Bassa Padovana), ed avevo bisogno urgente di guadagnare.
Il contratto mi è stato rinnovato, perché soddisfatti del mio lavoro, una prima volta per ulteriori sei mesi, poi dopo uno stop di un mese, che se non avessi fatto li avrebbe costretti ad assumermi a tempo indeterminato, con le stesse scuse della prima volta mi hanno rinnovato il contratto per ulteriori tre mesi assicurandomi che al suo termine in caso di mancato ulteriore rinnovo o di mancata trasformazione in indeterminato mi avrebbero avvertita con largo anticipo.
Il 16 marzo 2006, solo 14 giorni prima della sua scadenza e solo dopo mie ripetute richieste mi è stato dato il benservito senza nessuna spiegazione e nessun chiaro motivo.
Quello che qui io contesto, capiamoci bene, è il comportamento tenuto da questa categoria che non risulta in linea con quanto predica da tempo la Cgil . Ma perché allora si predica bene ma si razzola male? Sottolineo un'altro particolare non certo irrilevante.
L'ultimo Regolamento della Cgil dice testualmente al punto 2: "Il contratto di lavoro è normalmente a tempo indeterminato ma è previsto il ricorso ad assunzioni sulla base della legislazione vigente solo con modalità e nei casi previsti dai successivi art. 5,6,7.
L'art.5 che è quello che si riferisce al contratto di lavoro subordinato non ha tra i casi previsti nessuno che si avvicini alle motivazioni che hanno spinto alla mia assunzione.
Io ero un'impiegata amministrativa a tutti gli effetti.
Ho sempre avuto la delega di cassa presso Banca Intesa a Mestre e svolgevo tutte le attività connesse (bonifici, giroconti, cambi di assegni, pagamenti, ecc.) in autonomia, tenevo conto dei movimenti di cassa, tenevo i rapporti con i fornitori e con le aziende per le pratiche amministrative proprie del sindacato, smistavo la posta, gestivo l'archivio di categoria, facevo la prima nota, ero il primo referente dell'organizzazione in quanto sempre presente in ufficio e molto altro ancora.
Non ero certo stata assunta come risulta dal mio ultimo contratto "per censimento ed inserimento iscritti", mansione creata ad hoc per far ricadere la mia assunzione a termine fra uno dei casi espressamente previsti dal Regolamento della Cgil .
Cosa ancora peggiore sta nel fatto che la categoria persevera nello sfruttamento indebito di una legislazione che la Cgil contesta avendo assunto dopo di me una ragazza sempre con contratto a termine che stanno formando per svolgere le mie stesse mansioni.
Spero che questa denuncia possa far cambiare qualcosa in questa Cgil che ha perso la mia stima ed in parte la faccia, riportando i vari componenti della stessa alle loro responsabilità e a rispettare i valori, le linee guida e gli ideali che sono il motivo d'essere di un sindacato che si professa di tutti i lavoratori e non solo di quelli che portano voti o influenza per riuscire a restare al potere.
( Linda Marinello)

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Pescara, quando la Cgil licenzia un sindacalista

Sul caso ora deciderà il giudice, il dirigente si appella ai Radicali di Pannella Pescara, quando la Cgil licenzia un sindacalista ROMA - Quando alcuni mesi fa, a Pescara, arrivò sul suo tavolo la causa riguardante tal Luigi Castiglione, il giudice del lavoro Franco Di Pietro - nonostante l' omonimia col celebre Tonino - mai avrebbe pensato che il caso sarebbe salito alla ribalta delle cronache nazionali, diventando addirittura oggetto del dibattito sui referendum proposti dai radicali. Il fatto è che il caso Castiglione riguarda il licenziamento di un sindacalista deciso dalla Cgil della provincia abruzzese. Un sindacato che licenzia un proprio dipendente, anzi un proprio dirigente, come nel caso di Castiglione, già segretario della Fiom locale, fa sicuramente un certo effetto. Tanto più quando il motivo dichiarato del licenziamento è l' assenteismo. E infatti il caso fece notizia sui giornali locali. Ma adesso la questione è stata tirata in ballo dai radicali a dimostrazione che i sindacati, ferocemente contrari al referendum che vuole abolire il diritto di reintegro per i licenziamenti senza giusta causa, già godono di questa prerogativa. E quindi: predicano bene e razzolano male. Perché la vicenda del sindacalista abruzzese si intreccia con quella del referendum? Perché, spiegano i radicali, davanti al giudice la Cgil di Pescara ha chiesto l' applicazione della legge 108 del 1990 che prevede che per i dipendenti di partiti, sindacati, associazioni culturali e istituzioni religiose non vale il diritto di reintegro previsto dallo Statuto dei lavoratori a tutela di tutti i lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti licenziati senza giustificato motivo. Il giudice cioè non può obbligare il datore di lavoro a «riassumere» il licenziato. Contemporaneamente, la Cgil è in prima fila nella battaglia contro il referendum che vuole, per l' appunto, abrogare l' articolo dello Statuto sul reintegro. Attacca Benedetto Della Vedova, eurodeputato della lista Bonino: «I sindacati ci accusano di barbarie, ma poi sono costretti ad ammettere che per loro il licenziamento senza diritto di reintegro è già possibile dal 1990». Luigi Castiglione, il licenziato, è il primo a difendere quella deroga inserita nella legge del ' 90: «Noi sindacalisti la volemmo perché le nostre sono associazioni particolari ed è evidente che se io mi iscrivo all' Ugl (il sindacato della destra, n.d.r.) oppure mi metto a fare il consulente per i padroni poi non posso pretendere il reintegro, se mi licenziano. Ma non chiedemmo certo la deroga avendo in mente azioni disciplinari contro i dipendenti del sindacato». Castiglione, nonostante la disavventura personale e l' interessamento dei radicali, assicura: «Sono e resto un sindacalista e sono quindi contrario al referendum sui licenziamenti». Ma adesso il sindacalista, più che contro i radicali, è impegnato contro la Cgil di Pescara. Vista la norma del ' 90, ha un' unica possibilità per riottenere il posto di lavoro: dimostrare che il licenziamento nasce da una discriminazione. È questo infatti il solo caso in cui anche per partiti e sindacati il licenziamento non è ammesso e il lavoratore ha diritto al reintegro. Ecco allora che Castiglione sostiene di essere stato fatto fuori dalla Cgil per la sua fede socialista. Una fede militante, tanto che nel ' 98 si è candidato alle elezioni comunali nella lista dello Sdi, peraltro senza successo. Ma su tutto questo dovrà appunto decidere il giudice.

Anonimo ha detto...

I licenziamenti senza giusta causa, la Cgil la pratica, per se stesso, da ormai 12 anni. Infatti, in base all’art. 4 della legge 108 del 1990, il meccanismo del reintegro non si applica alle cosiddette “organizzazioni di tendenza”, e cioè a partiti, sindacati, curie, associazioni ricreative e culturali. Tra l’altro, questa esenzione non vale solo per i dipendenti che svolgono mansioni connesse al carattere di tendenza dell’organizzazione, ma anche per quelli che svolgono funzioni “neutre” (segretarie, uscieri, centralinisti, ecc.ecc.): in altre parole, Epifani si scaglia contro il licenziamento senza reintegro, ma può praticarlo in qualunque momento contro la sua segretaria.

Anonimo ha detto...

E c’è una novità, dovuta ad una leggina voluta dal Governo Amato: anche le coop sono liberissime di praticare la “barbarie” del licenziamento senza giusta causa:

“Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell’articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo”. Così dispone infatti l’art. 2 della legge 3 aprile 2001, n. 142, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.94 del 23 aprile 2001.

Anonimo ha detto...

durante le campagne referendarie radicali sull’articolo 18: «mentre da un lato, per i suoi dipendenti il sindacato prevedeva il licenziamento senza possibilità di reintegro, dall’altra parte definiva i radicali massacratori sociali, per la loro proposta di sanzionarel licenziamento senza giusta causa non con la reintegra ma con il risarcimento al dipendente

Anonimo ha detto...

Ogni tentativo di suscitare una discussione razionale sui provvedimenti del ministro Gelmini e, in particolare, sulla reintroduzione del maestro unico nelle scuole primarie, è stato vano. Orecchie da mercante. I sindacati della scuola, con la Cgil in testa, e il Partito Democratico, con Veltroni e Garavaglia in testa, hanno deciso di pronunciare come dischi rotti un solo slogan menzognero: «La scuola elementare italiana è una delle migliori del mondo ed è il fiore all’occhiello del sistema italiano dell’istruzione. Perché si vuole distruggerla?». Memori dell’aureo precetto “ripeti mille volte la stessa bugia e diventerà una verità” hanno distribuito la velina dappertutto e tutti ripetono lo slogan come ossessi. Lo ha fatto in televisione, con le stesse identiche parole, anche Epifani, noto esperto di didattica delle scuole primarie.

Chi ha tentato di addurre argomenti e di spiegare perché la scelta del maestro unico è pedagogicamente e didatticamente corretta, e non risponde soltanto a criteri di economia, si è visto opporre un muro di silenzio. La controprova è che quando non si è potuto far finta di niente – di fronte a un articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, che spiegava come la scelta del maestro multiplo non avesse avuto alcun senso se non quello di usare la scuola come ammortizzatore sociale in mano ai sindacati – la risposta del ministro-ombra Garavaglia è stata una serie di balbettamenti-ombra, privi di qualsiasi consistenza. L’unico tentativo di difesa si è avuto da parte di alcuni pedagogisti che, dopo aver rifilato – in omaggio al precetto di cui sopra – la balla che in tutti i paesi moderni esiste un sistema di presenze multiple di maestri si sono chiesti come mai farà il maestro unico a insegnare la lingua italiana, la matematica, le scienze, la geografia, la salute, le norme sul traffico, la ginnastica e le tante altre materie del genere disegno, ballo, canto, ceramica, ecc.

Ingenui o falsi ingenui? Intanto, le norme sul traffico dovrebbe essere in grado di insegnarle chiunque possieda una patente automobilistica… o c’è bisogno di un maestro apposito anche per questo? Il termine “insegnare la salute” non merita commenti. E, soprattutto, quel che è tragicomico è che, dopo aver spezzettato la scuola elementare in una miriade di attività, materie e pseudomaterie, mettendo tutto sullo stesso piano, si venga a dire che non si può fare a meno di molti maestri… Cominciamo a spazzare via il ciarpame e guardare all’essenziale delle conoscenze e poi vedremo chiaro.
Ma, in fin dei conti, discutere è come lavare la testa all’asino: si perde il ranno e il sapone. Infatti, è ormai chiaro che l’osso della questione è quello sollevato da Panebianco.

I sindacati e la sinistra non possono tollerare che la scuola – ovvero il territorio da loro considerato da un trentennio come proprietà privata e pascolo esclusivo – venga gestita senza il loro consenso, anzi che si muova una sola paglia senza il loro consenso. Pertanto, la dichiarazione di Bonanni secondo cui la scuola non è un’azienda con un amministratore delegato, bensì è di tutti, è vera: a patto di dire che finora la scuola è stata un’azienda amministrata dai sindacati e che il problema è che finalmente si sta affermando il principio che è di tutti, ovvero che chi la gestisce è il governo e il Parlamento. Perciò se lorsignori sono democratici farebbero bene a fare tre passi indietro e a non impicciarsi di maestri unici o multipli, di dottrine pedagogiche, e lasciare alle istituzioni preposte di occuparsene.
Ma è chiaro che di passi indietro non ne faranno neppure mezzo, e quindi quella che si profila è una grande battaglia di democrazia. Se essa si concluderà con un cedimento e con la riaffermazione del potere sindacale di decidere come gestire la scuola persino sul piano dei contenuti didattici, possiamo dire un addio definitivo al sistema dell’istruzione in Italia.

In questo clima, appare sommamente squallida la scelta dei dirigenti del Partito Democratico di accodarsi supinamente alle agitazioni sindacali. Che cosa resta di riformismo in chi adotta le parole d’ordine del peggior sindacalismo autonomo, parlando di «attacco a decine di migliaia di precari che in questi anni hanno permesso il funzionamento dei servizi pubblici e della Pubblica Amministrazione», di «licenziamento di massa dagli immensi costi sociali» e ritorna sulle sciagurate parole d’ordine della «stabilizzazione» dei precari e della «garanzia da parte dello Stato delle necessarie risorse» per assumerli in via definitiva? Tali difatti sono le parole d’ordine con cui il Pd chiama alla mobilitazione dei precari della PA e, in particolare, della scuola. Mentre nella scuola stessa circolano documenti su cui si raccolgono firme in modo intimidatorio e mettendo in giro voci terroristiche: per esempio che l’anno prossimo migliaia di insegnanti “in mobilità” saranno messi a lavorare nei ministeri o negli uffici postali…

Tanto più va apprezzato chi ha assunto un atteggiamento razionale, affrontando la discussione sulle riforme del ministro Gelmini in modo pacato e argomentato. Tale è il caso dell’ex-ministro dell’istruzione Berlinguer, come è stato riconosciuto da più parti: l’onestà intellettuale è sempre qualcosa di fronte a cui bisogna inchinarsi.

Un dibattito autentico richiede tuttavia la chiarezza e, proprio perché la pacatezza lo rende possibile, non deve lasciare zone d’ombra. Nessuna persona seria può richiedere la pratica di stile sovietico dell’autocritica, ma Berlinguer è stato un protagonista troppo di rilievo delle riforme dell’istruzione in Italia perché non sia necessaria la chiarezza circa i passaggi cruciali di cui è stato protagonista e il suo pensiero attuale in merito.

Ad esempio, è chiaro che Berlinguer è stato uno dei pochi a sfidare il potere sindacale cercando di introdurre forme di valutazione degli insegnanti. Occorre però chiedersi se le procedure da lui scelte fossero le più adeguate e se egli non sia stato proprio vittima dell’esercito di docimologi di cui era circondato, buoni a escogitare ogni sistema di valutazione balzano salvo quelli ragionevoli, come il sistema di ispezioni compiute da un organismo competente del genere dell’Ofsted inglese.
Oggi l’ex-ministro Berlinguer guarda con occhio indulgente alla reintroduzione del voto in condotta, dei voti in pagella e delle verifiche annuali dei debiti formativi. Dobbiamo dedurne che egli ha ripensato criticamente i suoi provvedimenti che resero praticamente impossibili le bocciature e alla sua visione della disciplina scolastica, considerata come un orpello reazionario e che si è espressa nella Carta dei diritti delle studentesse e degli studenti, quintessenza dell’antiautoritarismo sessantottino.
Circa l’università, ricordiamo un momento felice in cui sembrò che Berlinguer stesse per adottare la proposta di Umberto Eco ed altri di eliminare i concorsi a favore di liste nazionali di idonei entro cui le università potevano effettuare chiamate. Fu un momento di breve durata perché egli cedette alle pressioni delle baronie accademiche introducendo un sistema concorsuale locale che, se ha permesso a qualche proscritto dalle dette baronie di sfuggire alle loro reti, ha sfasciato il sistema producendo un immenso ope legis di fatto.

Analogamente ci sembra che non fosse di Berlinguer l’idea di introdurre l’idea della laurea triennale e specialistica (il famoso 3 + 2). I suoi fautori la vantarono al grido di “l’Europa ce lo chiede”. Un grido menzognero, come quello attuale a favore del maestro multiplo, perché ancor oggi molti paesi europei si rifiutano di introdurre la laurea triennale. Fu una scelta disgraziata che ha ridotto l’università a un colabrodo, producendo una miriade di lauree tanto inutili e dequalificate e che, accoppiata al sistema dei crediti, ha condotto alla istituzione di 180.000 insegnamenti – tanti sono quelli oggi impartiti in Italia – spesso dotati di pochi crediti, in alcuni casi limite di meno di un credito. Forse Berlinguer non voleva questo, ma non sarebbe stato meglio opporsi aspramente fino alla denuncia pubblica e alle dimissioni piuttosto che mettere la firma sotto le macerie dell’università italiana?

Non ricordiamo neppure un ripensamento rispetto all’introduzione del maestro multiplo: non sarebbe stato più facile allora porre rimedio a una scelta tanto avventata? Ma forse quel che più ci inquieta è il ricordo della scelta caratteristica del periodo berlingueriano: quella di mettere in mano il sistema dell’istruzione a un manipolo di pedagogisti di stato che l’hanno plasmato sulla base dei principi dell’autoapprendimento e del precetto “meglio una testa ben fatta che una testa piena”, ovvero dello smantellamento sistematico dell’istruzione basata sulle conoscenze a favore dell’apprendimento basato sulla metodologia.

È in proposito che proviamo il massimo disagio, soprattutto quando vediamo che Berlinguer assortisce la sua indulgenza nei confronti degli attuali provvedimenti con una riproposizione alla lettera di quella ideologia. L’affermazione che la scuola gentiliana è ormai fuori dai tempi è fin troppo ovvia e condivisibile per non essere insufficiente a caratterizzare quel che si vuole. Essa non implica che si debba continuare sulla via di un modello fallimentare – di cui la scuola elementare rappresenta l’emblematica e disastrosa realizzazione – che gran parte dei paesi avanzati sta rivedendo criticamente, mentre altri paesi del terzo mondo iniziano a sopravanzarci proprio perché non si sognano di adottare quel metodo e seguono la via da noi abbandonata. Se si vuole avere spirito critico bisogna averlo fino in fondo e non è una vergogna rivedere le scelte passate. Ma che senso ha riproporre il modello dell’autoformazione quando sempre più persone si mettono le mani nei capelli constatando i disastri cui esso ha condotto? Che senso ha riproporre le cure degli stessi medici che hanno provocato nel malato una febbre da cavallo?

Del resto, il fronte che ci troviamo oggi davanti salda significativamente quei pedagogisti di cui sopra con il potere sindacale e parte della sinistra, tutti uniti nel difendere quell’ideologia. Pertanto, sia benvenuta la discussione civile e razionale nella chiarezza. L’ultima cosa al mondo di cui c’è bisogno è il gattopardismo, ovvero far mostra di cambiare tutto per non cambiare nulla

Anonimo ha detto...

Signori affaristi della Fillea di Napoli, non mandate i galoppini sui nostri cantieri di restauro artistico.
Andate a cagare.
Noi preferiamo parlare e contrattare direttamente con gli imprenditori piuttosto che farci rappresentare nella "mediazione" da personaggi come Nappo, Sannino e soci...

Anonimo ha detto...

ANONIMO DICE...Purtroppo la CGIL si comporta peggio dei padroni nei rapporti con i suoi dirigenti ERRICO li chiama apertamente dipendenti.L'hanno sentito dire nei corridoi che lui non ha paura di nesdsuno se deve liberarsi di chi gli sta'sulle palle.Ed e'cosi' difatti Il Crescentini sta'pagando ancora questo prezzo,lui spera nella magistratura,ma di questa meglio non porre alcuna garanzia anzi Dio ci guarda dalle sue grinfie dopo quello che sta conbinando con un altro sindacalista passata alle cronaca per una colossale svista di un magistrato che lo martella con delle accuse infamanti ma nello stesso tempo sta dando una mano ai vari ERRICO GRAVANO GRANDILLO ad liberarsi anche di questo compagno.La situazione e'gravissima perche'nessuno puo'interferire con un sindacato che per niente intimorito dalla pubblicita'si libera dei suoi uomini in un modo cosi'arrogante.I padroni non devono licenziare ma loro invece possono fare quello che vogliono.Proprio il maggior sindacato italiano sta'usando metodi che nemmeno i padroni usano piu'.Ma sapete di quante persone lavorano o che hanno lavorato nella CGIL di Napoli senza beccare un contributo?Sono tantissimi.Ebbene cosa dicono i vari GRAVANO ERRICO GRANDILLO PASTORE D'AGOSTINO PICARDI SANGES LIBERTINI niente a loro non importa proprio niente di tutto cio'.Non temono nessuno perche'si sono letteralmente impadroniti della CGIL di Napoli.Fanno quello che vogliono decidono di spostare chiunque non rientrano nei loro piani ne temono di licenziare quello che li da'piu'fastidio.Quello che sta'avvenendo in questi giorni con i compagni che lavorano presso l'ufficio vertenze di Napoli e'un chiaro messaggio per tutti.completamente smantellato un ufficio vertenze che da anni garantiva alla CGIL DI NAPOLI un certo lavoro basato sulla professionalita'di alcuni componentidello stesso.Hanno sputato

nel piatto dove hanno mangiato da anni.Come si devono difendere questi sindacalisti dalla propria organizzazione?Questo e'un vero dramma.Compagni capite in quale situazione si trovano questi sindacalisti?Altro che capetti questi non hanno paura di nessuno.Invece devono avere paura.Esiste sempre la giustizia proletaria.



I CADUTI SUL LAVORO..